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Holding. 2 - Definizione e significato

Data inserimento: 06/09/2023

Holding è un termine inglese, oramai entrato nel nostro dizionario economico-finanziario. La traduzione di holding in italiano può essere detenzione, possesso.

Il significato di holding (abbreviazione di holding company)  in finanza è molto semplice.  Non è altro infatti che una società che detiene azioni e/o quote di partecipazione di controllo o di collegamento in altre società (nel gergo tecnico italiano è sinonimo di capogruppo) ed è quindi in grado di esprimere nelle decisioni assunte dalle assemblee delle società partecipate la maggioranza assoluta o anche relativa. Essa è infatti a capo di un gruppo di società satelliti, le quali sono da considerare sotto il profilo giuridico autonome, ma sono dirette, controllate o comunque coordinate dalla stessa società. Holding deve intendersi quindi un qualsiasi soggetto controllante appartenente ad un gruppo societario che esercita nei confronti delle proprie società partecipate un’attività di semplice detenzione (gestione statica)  o direzione e coordinamento (gestione dinamica), come previsto dall’art. 2497 e s.s. del cod. civ.

Uno degli aspetti certamente interessanti, ma allo stesso tempo delicati, del gruppo societario è l’autonomia e l’indipendenza giuridica mantenuta da ogni soggetto facente parte del gruppo stesso. Ciò rappresenta un grande vantaggio: quello di ridurre al minimo il rischio di impresa, visto che ogni singola società controllata risponde con il solo proprio capitale e patrimonio per i rischi legati al proprio business, senza il diretto coinvolgimento della holding e delle altre società del gruppo (in successivi approfondimenti analizzeranno però le ipotesi di coinvolgimento della holding nel dissesto delle controllate).

Il concetto di gruppo di società che scaturisce quindi da quanto sinora illustrato è quello di una aggregazione di imprese societarie formalmente autonome e indipendenti l’una dall’altra, ma assoggettate tutte ad una direzione unitaria. Si potrebbe dire, con tutti i limiti della semplificazione, che a più imprese sotto il profilo giuridico corrisponde un’unica entità sotto il profilo economico.

Il gruppo di società assume infatti, se ben organizzato e diretto, l’assetto organizzativo tipico delle imprese di grandi dimensioni e della conseguente unità economica, combinandolo però con i vantaggi offerti dall’articolazione in più strutture giuridiche ed operative formalmente distinte e autonome. Il gruppo a tal fine consente di dotare le imprese medio-grandi di un assetto organizzativo evoluto, efficiente, molto più di quanto possa fare da sola la classica società per azioni o società a responsabilità limitata.

In ragione però di tali aspetti e caratteristiche, le aggregazioni societarie hanno richiesto una specifica disciplina finalizzata a:

a) garantire ai molteplici stakeholders una adeguata informazione sui collegamenti societari, finanziari e commerciali tra le varie entità costituenti il gruppo;

b) evitare che la direzione e coordinamento della capogruppo, tesa a realizzare le logiche e le strategie unitarie di gruppo, vada a sacrificare in maniera rilevante gli interessi specifici di una o più società del gruppo alterandone l’integrità patrimoniale; evitare quindi che le decisioni operative delle singole società del gruppo pregiudichino le aspettative di quanti fanno affidamento esclusivamente sulla consistenza patrimoniale e sui risultati economici di quelle determinate società.

In presenza di un gruppo di controllo societario si rendono perciò applicabili sia le norme, introdotte prima della riforma del 2003, che disciplinano e regolano i rapporti fra società controllante e società controllate (artt. 2359, 2359-bis, 2359-ter, 2359-quater, 2359-quinquies del C.c. in tema di società controllate e collegate), sia le ulteriori ed importanti disposizioni introdotte dalla riforma del diritto societario del 2003 (D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6 in vigore dal 1° gennaio 2004), riservate alle società o enti che esercitano attività di direzione e di coordinamento di altre società.

Successivi articoli approfondiranno gli aspetti, le problematiche e le responsabilità legate all’esercizio, da parte della capogruppo, dell’attività di direzione e coordinamento nell’ambito del gruppo.

Qui interessa rilevare come prima di tali norme del 2003 il concetto di gruppo societario nell’ambito del codice civile era pressochè inesistente, essendo state proprio le norme introdotte dalla riforma del 2003 a introdurre in maniera appena più organica la nozione di gruppo nella legislazione civilistica.

In altre parti del c.c. si individuano altre norme che danno risalto e valenza giuridica al fenomeno dei gruppi societari.

Per completezza di esposizione, il concetto di gruppo societario, seppur impropriamente, viene a volte riferito ad altre forme di collaborazione ed aggregazione tra singole imprese, quali:

- consorzio tra imprese (anche nella forma di società consortile), disciplinato dal Titolo X, Capo II del C.c.; esso costituisce una organizzazione comune tra più imprese con lo scopo di disciplinare o svolgere compiti di interesse dei consorziati;

- Gruppo Europeo di Interesse economico (GEIE), istituito con il Reg. n. 2137 del 25/07/1985 del Consiglio delle Comunità Europee, recepito con il D.Lgs. n. 240/1991, con la finalità di sviluppare la cooperazione e la collaborazione tra imprese nell’ambito dell’Unione Europea.

Tali forme aggregative esulano però dal concetto di gruppo societario oggetto della nostra attenzione, al cui vertice si posizionano una o più holding. Per tali ragioni, non approfondiremo gli aspetti normativi ed operativi dei due istituti.   

Focalizzando l’attenzione quindi sulla holding company, essa esercita quasi sempre un’attività direttiva nei confronti delle altre imprese del gruppo, avendone il controllo del capitale sociale. Tali imprese possono operare nell’ambito del medesimo  settore produttivo o addirittura far parte dello stesso processo produttivo oppure operare in settori complementari o, infine, in settori economici e aree territoriali diverse.

Analizzando nel dettaglio la struttura del gruppo, troviamo una società madre o capogruppo (normalmente chiamata parent) posta al vertice della piramide e una o più società figlie o controllate, definite in gergo subsidiary.

L’attività di una Holding nei gruppi più strutturati può essere esercitata anche per il tramite di una o più Sub-Holding, ognuna a capo di un mini gruppo di società operative poste ulteriormente a valle. Trattasi di società che realizzano uno schermo aggiuntivo tra la proprietà e le società operative nei diversi business diversificati.

In altri articoli evidenzieremo le opportunità che lo strumento del trust offre quale veicolo di controllo e governo di un gruppo societario, anche alla luce di recenti chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, pur con dei limiti e condizioni di operatività.

Il controllo da parte della holding (ma anche della subholding) sulle subsidiaries si esercita attraverso diverse modalità. Si può a tal fine distinguere, in ambito operativo, un controllo di diritto da un controllo di fatto. Si ha controllo di diritto quando la holding detiene la maggioranza dei diritti di voti esercitabili nell’assemblea ordinaria di una società partecipata, il che attribuisce alla holding il potere di assumere qualunque decisione in seno alla stessa assemblea. Questo presume, pertanto, in maniera assoluta l’esercizio di un’influenza dominante.

Il sistema più comune ed utilizzato per ottenere ciò è attraverso il possesso della maggioranza di azioni o quote nelle società figlie (subsidiaries), che, in assenza di clausole statutarie particolari o altri diritti e/o vincoli sulle azioni o quote, consente di disporre conseguentemente della maggioranza dei voti nell’assemblea.

Il controllo di fatto si fonda, invece, sulla disponibilità di diritti di voto che, pur non rappresentando la maggioranza dei voti, si rilevano comunque sufficienti a esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria di una società (c.d. controllo di fatto interno - art. 2359 c.c.); ovvero sulla possibilità di esercitare un’influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali (c.d. controllo di fatto esterno).

Il codice civile individua, quindi, altre fattispecie di esercizio del controllo (influenza dominante) rispetto alla disponibilità dei voti in assemblea. Ci possono infatti essere casi in cui viene redatto un vero e proprio contratto nel quale si stabiliscono i termini per la subordinazione di una società alla holding di riferimento.

Un aspetto importante e che non sempre trova univocità di orientamento riguarda la natura dell’attività della holding, se cioè tale attività sia a tutti gli effetti ed a pieno diritto da considerarsi attività commerciale o se possa non assumere tale qualifica. Trattasi di questione importante anche per le implicazioni che la qualificazione dell’attività comporta, come ad esempio sotto il profilo fiscale o quello della scelta della forma societaria. Anche su tale aspetto si cercerà di fornire chiarimenti ed orientamenti.

Autore: Roberto Acquaviva - Studio TFC